PROLOGO della LETTERA PASTORALE ”NON POTREMO DIMENTICARE” 

l. Non potremo dimenticare! Quello che ci è recentemente accaduto rimarrà impresso nella nostra memoria per sempre. Un marchio a fuoco nella carne. Dall'inizio di marzo alla fine di maggio di quest’ anno una sorta di onda devastante si è abbattuta su di noi, sulla città di Brescia, sui nostri paesi, sul nostro territorio. Abbiamo dovuto misurarci con un nemico invisibile e sconosciuto, che all'inizio abbiamo forse sottovalutato e che via via ha manifestato la sua potenza distruttiva nei confronti dei nostri corpi, soprattutto quelli più deboli. Abbiamo sperimentato per la prima volta nella nostra vita e nella storia recente che cosa sia un contagio mortale su vasta scala. Ci siamo dovuti confrontare con un fenomeno impensabile, che abbiamo definito con il nome sgradevole di pandemia.

2. È tata una corsa contro il tempo. Si è subito compreso che occorreva intervenire tempestivamente per salvare vite altrimenti perdute e nello stesso tempo che bisognava difendersi per non incrementare_ il contagio. Ci si è attivati con straordinaria generosità, cercando di mantenere ordme nel turbine di una tempesta. E qui è emerso il megho deIl’animo umano in quella originale edizione che familiarmente chiamiamo brescianità: intelligenza, determinazione, concretezza, generosità, dedizione, coraggio, collaborazione. Abbiamo visto tante persone compiere grandi cose, a cominciare dai medici e dagli infermieri negli ospedali e nelle altre strutture di assistenza sanitaria, per arrivare agli amministratori degli enti locali, alle forze dell'ordine, ai componenti delle varie associazioni d1 volontariato, agli addetti alle onoranze funebri, a tutte le persone impegnate nelle strutture di supporto. E non possiamo certo dimenticare i sacerdoti, con il loro grande cuore di pastori.

3. La cura dei malati è stata la prima preoccupazione. Essa, però, ha dovuto da subito misurarsi con le condizioni imposte dalla malattia stessa: nessun contatto tra persone, se non con il personale curante, rigorosamente dotato delle protezioni richieste. Così, quanti sono stati colpiti sono rimasti soli ad affrontare l'esperienza tremenda del virus che rende affannoso il respiro. I medici e gli infermieri - unici ammessi a fianco dei malati - si sono trovati a lottare contro una patologia sconosciuta, ma anche contro il senso di solitudine dei loro assistiti: una presenza terapeutica a tratti esemplare, che è andata molto al di là della competenza professionale. Nelle case, invece, i parenti vivevano lo strazio di una lontananza forzata e di un'incertezza carica d'ansia.

4. In molti casi - purtroppo - non è stato possibile impedire il decorso fatale della malattia. Tante persone care, per lo più anziane o fisicamente già provate, ci hanno lasciato. Abbiamo pianto i nostri morti: ciascuno i propri cari e tutti insieme i nostri fratelli e sorelle nella fede. Abbiamo tuttavia voluto onorarne la digiiità e la memoria, celebrando comunque per loro il rito liturgico del congedo: li abbiamo consegnati come figli della Chiesa alle braccia misericordiose del Dio della vita. A nessuno di loro è mancata la benedizione dei sacerdoti, anche nel momento in cui il contagio faceva davvero paura.

5. La vita nel suo complesso è stata sovvertita in questi mesi cruciali. Sospese le attività fino al blocco totale: scuole chiuse, fabbriche e uffici fermi, strade deserte, ambienti vuoti, contatti ridotti al minimo. La gente costretta a fare della propria casa l'unico ambiente in cui poter stare in sicurezza. Un'atmosfera surreale ha come avvolto il nostro territorio bresciano e quello dell'intera nostra nazione.

6. Ora stiamo rialzando la testa, pur tra notevoli incertezze. Stiamo - si dice - uscendo dall'emergenza sanitaria e stiamo affrontando quella sociale. La brusca frenata subita dall'attività produttiva del nostro paese è cosa seria e domanda di essere tenuta in alta considerazione. Mentre si fa questo, tuttavia, sarà importante interrogarsi sul senso di quanto ci è accaduto e sulle sue conseguenze in ordine al nostro futuro. Non sarebbe giusto - mi sembra - voltare semplicemente pagina per ritornare finalmente alla normalità. Siamo sicuri, infatti, che proprio questa normalità non rappresenti il nostro problema? L'uragano che si è abbattuto sul mondo non è stato forse insieme l'effetto e il segnale di una situazione che domanda un coraggioso e urgente rinnovamento? “La tempesta che ci ha investiti - ha detto papa Francesco nel discorso del 27 marzo già diventato storico perché pronunciato in una piazza S. Pietro deserta - ha smascherato la nostra vulnerabilità e ha lasciato scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità( ...). Non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sani in un mondo malato”.

7. È bene ricordare queste parole del Signore, che troviamo nel Vangelo: “Quando si fa sera voi dite: "Bel tempo, perché il cielo rosseggia"; e al mattino: "Oggi burrasca perché il cielo è rosso cupo". Sapete interpretare l'aspetto del cielo e della terra e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?” (Mt 16,2-3). Interpretare i segni dei tempi è il primo compito di fronte agli eventi della storia. Dio ci parla attraverso ciò che accade. Occorre soffermarsi a scrutare il senso di quanto succede, perché l'esperienza vissuta porta sempre con sé un insegnamento, specie quando è carica di sofferenza. Da questa riflessione sapienziale, che coglie l'appello della Provvidenza, possono derivare scelte illuminate e coraggiose, in grado di rinnovare il presente e quindi anche il futuro.

8. Con questo mio scritto vorrei contribuire a una rilettura sapienziale dell'esperienza che abbiamo vissuto. Ho pensato che fosse opportuno fermarsi a meditare su quanto è accaduto e in questa luce guardare il nuovo anno pastorale. Vorrei farlo mantenendomi in una prospettiva eucaristica, cioè dilatando il tempo che abbiamo voluto dedicare alla centralità dell'Eucaristia nella vita della Chiesa. Quanto ho scritto nella precedente lettera pastorale rimane perciò il punto di riferimento anche per il cammino di quest'anno. La richiesta da noi presentata alla Santa Sede di prolungare per un anno i tempi di celebrazione del Giubileo delle Sante Croci è stata accolta volentieri. Anche questo mi è sembrato un segno da interpretare: ci sprona a mantenerci immersi anche per il prossimo anno nel mistero d'amore che unisce la croce e l'Eucaristia, mentre compiamo un doveroso discernimento.

9. Sempre in questa prospettiva, mi preme comunicare che intendo dare compimento a quanto annunciato circa il delicato argomento affrontato nel capitolo ottavo di Amoris Laetitia, cioè le esperienze matrimoniali ferite, e riprendere le linee di pastorale giovanile vocazionale che sono state recentemente pubblicate. Ricordo, infine, che nel corso del prossimo anno pastorale si procederà al rinnovo degli organismi di sinodalità dell'intera diocesi, in particolare dei Consigli Pastorali Parrocchiali e di Zona, del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale Diocesano. Sono eventi importanti, che non potranno essere separati dalla rilettura spirituale che insieme intendiamo compiere.

10. Concludo questo prologo che funge da avvio della nostra lettera pastorale ricordando nuovamente le parole di papa Francesco pronunciate il 27 marzo. Così il pontefice precisava il compito di discernimento affidato ai credenti nel tempo della pandemia: “Abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso, per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Lo Spirito è la sorgente perenne della vita e della sapienza. Lui solo è veramente creativo, sempre capace di sorprendere e di rinnovare. Venga a noi dallo Spirito questo dono prezioso per l'oggi e il domani del popolo di Dio: un discernimento umile, fiducioso e fecondo”.

Il nostro Vescovo Pierantonio in S. Giovanni (Brescia) il Venerdì Santo

 

   

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